Nella seconda metà dei '700, Vito Amico descriveva il bosco di Caronia "vastissimo, denso e orrido, albergato da cinghiali e fiere, piacevole ai cacciatori. Esso manda gran quantità di carbone a Palermo e arreca molto lucro ai terrazzani, i quali sono principalmente addetti a carbonizzare".
Fino a qualche decennio fa lo sfruttamento delle risorse boschive ha rappresentato, insieme all’allevamento, la principale attività economica dei caronesi. E ancor oggi, sebbene sempre più di rado, è possibile incontrare nelle radure dei boschi, segnalati dal fumo dei fussuni, gli ultimi carbonai, intenti a ripetere i gesti di un mestiere antico, di cui il Museo del Bosco cerca di conservare la memoria.
Il Museo è aperto da lunedì a sabato, dalle 9 alle 13. Esso documenta le fasi della produzione del carbone, la cultura materiale e i gesti del sapiente dosare gli elementi (la terra, l’aria, l’acqua e il fuoco), in cui consiste questa attività millenaria.
Al suo interno sono stati ricostruiti un pagghiaru e un fussuni. Il pagghiaru è il tipico rifugio dei carbonai (oltre che dei pastori), costruito nelle radure del bosco con pietrame a secco e copertura di frasche di ginestre. Il fussuni è una grande catasta di legna disposta in forma di cono e ricoperta di terra e fogliame, che viene fatta cuocere lentamente e in modo uniforme, governando il fuoco col dosaggio di aria a acqua, fino ad ottenere il carbone.
Un’altra importante attività connessa allo sfruttamento del bosco era la “scorcia” del sughero cerro, che fino a qualche decennio fa veniva esportato in tutta Europa.
Il museo documenta, altresì, l’attività pastorale, non meno radicata sul territorio di quella dei carbonai, attraverso la descrizione del ciclo tradizionale di trasformazione del latte, e l’esposizione di strumenti di lavoro e altri oggetti di cultura materiale.
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